Alla libreria Paoline la presentazione del libro "Ernesto Balducci"


di Raniero La Valle*
MARINEO. Venerdì 18 maggio 2012, alle ore 21, presso la libreria Paoline (corso Vittorio Emanuele n. 456 – Palermo) sarà presentato il libro di Rosario Giuè “Ernesto Balducci. La parola di Dio nella storia”. Intervengono: Nino Fasullo, Cosimo Scordato, Francesco Michele Stabile. Introduce e modera Fernanda Di Monte. Sarà presente l’autore.
Il termine che più si usava per definire padre Ernesto Balducci quando la sua parola correva da un capo all'altro dell'Italia era quello di profeta, e profezia veniva consi-derato il complesso del suo annuncio. Naturalmente si trattava di una profezia nel senso forte di un discorso anche di Dio, e non solo di uomini. La profezia di padre Balducci consisteva nel disvelamento dei segni e delle circostanze storiche che facevano intravedere il regno di Dio come prossimo a fiorire sulla terra anche se attraverso un passaggio apocalittico, e profezie erano le sue visioni dell'«uomo planetario», del «ritorno delle caravelle», della sopraggiunta «impossibilità della guerra», della comunione tra tutte «le tribù della terra», dell'uscita dalla cultura e dall'egemonia dell'Occidente, del superamento della religione dei precetti e dei riti, del passaggio all'età adulta dell'ONU al di là di quelli che egli aveva considerato i suoi primi vagiti, e dell'avvento di una società di pace.
Ci si può chiedere se queste profezie abbiamo trovato almeno un principio di convalida, e di conseguenza se l'eredità che ci ha lasciato padre Ernesto Balducci sia ancora attuale e vitale: il dubbio potrebbe sussistere perché in verità in questo principio del ventunesimo secolo e del terzo millennio non ci sono indizi che quelle visioni, scandagliate da un occhio presbite e impaziente, stiano per prendere terra in una realtà che le confermi; semmai accade il contrario, dato che siamo nel pieno di una crisi di restaurazione e di regressione che colpisce la società politica non meno che quella ecclesiale.
Si deve però dire che vent'anni, quanti ne corrono dalla morte di padre Balducci, sono un tempo troppo breve perché lo spazio della storia possa sovrapporsi allo spazio della profezia, sicché non è dal frammento di storia che nel frattempo abbiamo vissuto e che stiamo vivendo che il suo messaggio può avere smentita.
Resta dunque aperta la questione della verità e della predicabilità delle visioni profetiche del grande scolopio fiorentino; così che esse possano diventare pane anche per le nuove generazioni; ben sapendo peraltro che la parola profetica non cerca il suo adempimento negli avvenimenti storici ma nella conversione dei cuori umani.
Per molte ragioni si può dire che la testimonianza di padre Balducci non è chiusa, così che non resterebbe che farne memoria; al contrario essa sopravvive e ancora fermenta e inquieta; toccherà poi a ciascuno di decidere se quella testimonianza è ancora utile alla sua intelligenza delle cose e prodiga di significati per la propria vita, personale e pubblica.
Ma non si può fare ciò se non ci si imbatte, anche a distanza di anni, in padre Balducci, se non si entra in contatto con quello che è stato il suo itinerario intellettuale e religioso; a questo fine uno strumento come questo libro si rivela prezioso.
Per questo incontro con la proposta balducciana, Rosario Giuè ha fatto una scelta determinante: quella di non inseguire il pensiero di Balducci nei suoi libri e nei suoi più vari interventi pubblici, ma di andare al cuore della sua identità e della sua sapienza cercandole lì dove esse più profondamente erano coinvolte e si manifestavano, cioè nelle omelie che egli tenne ininterrottamente, per anni, alla domenica, nella Badia Fiesolana.
Questa è una scelta felicissima: non da oggi sostengo che il vero padre Balducci sta nelle sue omelie; perché se caduche possono apparire talune delle sue interpretazioni storiche e proiezioni nel futuro, di valore decisivo e permanente appare la sua predicazione. E ciò per una ragione molto seria: che mentre nei suoi libri c'è solo Ernesto Balducci, nelle sue omelie c'è Ernesto Balducci con la sua cultura, la sua pietà, la sua teologia, ma nello stesso tempo c'è l'eccedenza dello Spirito che si faceva presente e attuale nella parola di Dio che presiedendo all'eucaristia egli commentava.
Stava in ciò la qualità di questa predicazione: del tutto indipendente dai manuali su cui i preti si formavano, ma interamente tributaria del Concilio, tutta misurata e modellata sulla parola di Dio letta e ascoltata nella situazione di oggi. Ed è lo stesso Balducci che dichiara questa indissolubile contiguità tra il suo tempo, la sua parola e la parola di Dio, quando rivela che per preparare le sue omelie, lette le Scritture e i giornali del giorno, passeggiava a lungo nel chiostro per vedere in che modo la Parola biblica incrociava e illuminava gli eventi della Storia che in quel momento si stavano vivendo.
Parola e Storia: questi sono i due parametri dell'omiletica balducciana, e questo libro ne dà continuamente la prova. Ma, in un senso ancora più generale, Parola e Storia non erano solo l'emblema e la sintesi della predicazione di padre Balducci, ma erano i due bracci della croce in cui si risolveva e si esprimeva la sua fede, che non era la fede in un Dio astratto, vanaglorioso, tutto trascendenza, ma era la fede nel Dio dell'incarnazione che nel Figlio suo aveva sposato a sé tutta la storia e tutta l'umanità, di ieri, di oggi e di domani.
Perciò, padre Balducci, sia che predicasse, scrivesse o semplicemente vivesse, aveva i nervi scoperti rispetto alla Storia, era sensibile agli avvenimenti. E questo spiega perché proprio alla fine della sua esistenza egli abbia vissuto una sorta di notte oscura, dinanzi a una Storia che improvvisamente, con il ripristino della guerra pur a suo tempo ripudiata e con l'inconsulta guerra del Golfo, sembrava prendere una direzione opposta a quella che egli aveva tematizzato e annunciato. Non dalla parola di Dio Balducci era stato deluso, ma dalla ragione umana sulla quale egli aveva quasi in pari misura contato.
La guerra del Golfo gli apparve come una catastrofe della ragione. Gli era sembrato impensabile che l'Occidente scegliesse la strada della distruzione di tutti i codici della convivenza internazionale invece che quella della realizzazione, finalmente possibile, di una Comunità mondiale di diritto. La ragione non era riuscita ad arginare la guerra. A qualche apologeta di vecchio stampo ciò avrebbe potuto provocare la reazione di riproporre la vecchia antitesi, o almeno la vecchia dialettica, tra fede e ragione. Ma Balducci non poteva fare questo, perché non apparteneva a quella Chiesa che aveva respinto, scomunicato ed esecrato l'Illuminismo; Balducci sapeva che l'Illuminismo era stato un'avventura del Cristianesimo, riproposto sotto nuove specie secolari e laiche, col rischio certo di trasformare i concetti e i valori cristiani in idoli, ma anche con la potenzialità di tradurli in più umani ordinamenti e in una buona vita per gli uomini, come i «segni dei tempi» della seconda metà del Novecento - l'eguaglianza, la democrazia, i diritti, l'ascesa dei lavoratori, la rivendicata dignità della donna, la liberazione dei popoli - avevano cominciato a mostrare.
Balducci sapeva che l'umanità che aveva fatto l'Illuminismo, sia pure - ma non dappertutto – in necessaria polemica con la Chiesa che voleva trattenere tutto per sé e sotto le sue specie, era pur sempre l'umanità uscita con la sua ragione e con la sua libertà dalle mani di Dio, e che anzi perseguendo ragione e libertà aveva intrapreso a realizzarne l'immagine impressa nell'uomo. E sapeva che i «lumi» esaltati dalla società secolare moderna, non erano lontani, e anzi erano gli stessi lumi di cui due secoli dopo il Concilio avrebbe parlato, svelandone la radice: «lumen gentium, lumen Christi», la luce a cui la « Costituzione dogmatica sulla Chiesa» doveva intitolare la Chiesa e l'umanità tutta.
Il naufragio della ragione, in quegli inizi degli anni Novanta del Novecento, dovette perciò apparire a padre Balducci come un'offesa anche alla sua fede, alla fede della Chiesa, come una durissima prova per la sua profezia.
La quale, però, non ne era infirmata. Perché lo scacco della ragione non era stato lo scacco della ragione umana tout court, come se a causa del peccato e di una natura decaduta e privata dei doni soprannaturali essa non fosse in grado in via di principio di scegliere e di attuare il bene, ma era stato lo scacco di una ragione storica che si era lasciata fuorviare e su cui ripetutamente padre Balducci aveva espresso un duro giudizio e fatto una radicale diagnosi. La cultura che aveva fallito era la cultura dell'Occidente eurocentrico e atlantico; una cultura del dominio, una cultura della superiorità, una cultura dell'ottimismo progressista incapace di assumere come risorsa la multiformità e i limiti dell'umano. La ragione, come si era andata svolgendo in questo scorcio della modernità aveva fallito, perché non era stata capace di vera universalità, non aveva saputo pensare l'uomo nelle sue infinite differenze, era rimasta prigioniera della categoria dell'utile, aveva imposto il predominio dei ricchi ed era precipitata nel produttivismo economicistico, con tutto ciò portando il mondo sulla soglia di una distruzione anche fisica; l'ingresso nell'età nucleare - nel senso della bomba - aveva reso possibile che un mondo di per sé capace di durare ancora due miliardi di anni, potesse nel corso di una generazione essere votato alla fine. Perciò padre Balducci parlava di una situazione apocalittica a cui la storia umana era giunta; anche la guerra del Golfo poteva appartenere a questa deriva.
Ma c'era un'altra ragione che poteva essere evocata, che poteva essere assunta e poteva essere messa in campo. Un altro ordine di rapporti umani «per opera degli uomini e per lo più oltre la loro stessa aspettativa », come aveva detto Giovanni XXIII aprendo il Concilio, poteva sopraggiungere ed essere costruito. La Storia non doveva finire lì, e padre Balducci lo sapeva. E come potesse convertirsi, come la ragione umana e l'amore divino potessero di nuovo incontrarsi e produrre cieli nuove e terre nuove, era nel fondo più fondo della sua profezia, e stava scritto nel filo rosso che questo libro ora ci dipana e propone.
* a prefazione del libro di Rosario Giué